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estinzione

La ripopolazione del rinoceronte nero

Durante la seconda metà del secolo scorso, soprattutto gli ultimi decenni, il rinoceronte nero del Serengeti (in Africa Orientale) sembrava ormai destinato inequivocabilmente all’estinzione, a causa di un diffuso, incessante e sconfinato fenomeno di bracconaggio. Basti pensare, addirittura, che fino all’ultimo decennio del secolo scorso – a causa della sistematica eliminazione di esemplari nella quasi totalità della regione – allo stato brado permanevano soltanto due femmine. La motivazione di questa incredibile opera di bracconaggio è da ricercare nelle pregiate corna, assai ambite: prevedendo questo fenomeno, nel lontano 1964, un gruppo di ambientalisti tentò di impedire che si compisse l’estinzione, trasferendo sette rinoceronti neri in Sud Africa, in una riserva naturale. Dopo ben quarantasei anni, oggi, è in corso un’operazione di delocalizzazione assai delicata: i discendenti di quei sette rinoceronti, difatti, dovrebbero ritornare nel Serengeti, il loro luogo d’origine. Il Telegraph, in un suo reportage attuale, ha ricostruito la sorte di cinque rinoceronti: questi ultimi, che fino ad ora si trovavano in una riserva protetta, sono stati trasportati su aeromobili nel Serengeti National Reserve in Tanzania. Il percorso di reintegrazione nella loro terra d’origine, secondo quanto previsto, inizierà con un monitoraggio stretto – per la durata di un anno – degli esemplari: questi ultimi, verranno insediati in una parte speciale della riserva. Nel Serengeti, ad oggi, sono presenti soltanto trentatré rinoceronti neri: tra due anni, secondo i piani, la delocalizzazione sarà completata e, di conseguenza, la popolazione raddoppierà. Ciò, comunque, non è garanzia di sopravvivenza certa per questa specie: l’anno passato, infatti, in Kenya sono stati abbattuti ben sei esemplari di rinoceronte nero. Per lottare contro questa piaga del bracconaggio, venti ranger hanno il compito di controllare il territorio della riserva.

Il pianeta si scalda, le lucertole si estinguono

Il surriscaldamento globale sta iniziando ad avere i primi effetti sulle forme di vita che popolano il nostro pianeta: dopo i blocchi di ghiaccio estesi come regioni che si sono staccanti dal Polo Sud nell’ultimo biennio, ora anche alcune specie animali sono a rischio non per la deforestazione, non per i pesticidi, ma per l’innalzamento della temperatura.

Secondo uno studio dell’Università della California nei prossimi settant’anni una specie su cinque di lucertola sarà estinta. Il dato a prima vista non sembra allarmante, ma noi uomini spesso sottovalutiamo l’importanza delle piccole forme di vita all’interno di un ecosistema. Le lucertole notoriamente prediligono i climi caldi, ma, come dimostrato da studi compiuti in Messico, la temperatura eccessiva le porterà a trascorrere meno tempo al sole, quindi a rintanarsi maggiormente in luoghi freddi, diminuendo il numero di accoppiamenti e portando alcune specie all’estinzione secondo i calcoli del professor Barry Sinervo.

Il dato è ancora più allarmante se si considera che i rettili sono le specie animali che popolano la Terra da maggior tempo e quindi hanno sopportato notevoli cambiamenti senza risentirne in modo significativo.

Il pericolo di estinzione potrebbe inoltre espandersi ad altre specie, dal momento che la perdita delle lucertole può causare un collasso della catena alimentare a livelli superiori>>, con danni incalcolabili ai molti ecosistemi di cui fanno parte. Gli studiosi hanno anche prospettato una soluzione scongiurare questa catastrofe ecologica: una diminuzione del 6% delle emissioni di gas serra salverebbe questi piccoli rettili.

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