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Servizi di Disinfestazione

UniGroup è una Cooperativa Sociale per la tutela dell’Ambiente, l’azienda si occupa di disinfestazioni e derattizzazione ad ampio spettro, collaborando con comuni e imprese pubbliche e private. Lo staff dell’azienda è altamente professionale, operando su Lazio, Toscana e Lombardia. Prestazioni curate minuziosamente, verifica e controllo, personale qualificato rendono efficace il loro intervento. L’azienda è specializzata nella disinfestazione della zanzara tigre ed effettua una lotta antilarvale per contenere la proliferazione dei focolai attraverso una capillare bonifica di tombini, caditoie e bocche di lupo. La nostra società si avvale dei migliori elaborati sul mercato (INDIA prodotti) che, oltre a rispettare l’ambiente, esplicano un’azione rapidissima sugli insetti con cui vengono a contatto.

I gorilla di montagna sono in pericolo. Il Ruanda cerca aiuto

L’Onu ha scelto il Ruanda per le recenti celebrazioni della giornata mondiale dell’ambiente e, contemporaneamente, lo stato africano ha organizzato un evento pubblico per dare un nome ai 14 bebè di gorilla di montagna appena nati nello stato, che rappresentano una speranza per una specie messa a rischio dalla deforestazione selvaggia e dalle attività umane.

L’evento, tenutosi appunto in Africa, ha un significato molto profondo, dal momento che in un continente con mille problemi, spesso martoriato da guerre civili, immerso in una povertà quasi assoluta e sfruttato fino all’osso da aziende e società occidentali spesso la valorizzazione del patrimonio ambientale, della fauna e della flora passa in secondo piano per l’impellenza di problemi oggettivamente più urgenti.

Anche i gorilla di montagna sono in un certo modo vittime della complicata situazione del continente nero, dal momento che a oggi si contano solamente circa 700 esemplari della specie in libertà, che vivono per metà sulle montagne vulcaniche del Virunga, al confine tra tre stati: Ruanda, Uganda e Repubblica democratica del Congo (gli altri ”abitano” in territorio Ugandese).

I gorilla di montagna rappresentano una grande risorsa per un paese povero come il Ruanda, in quanto attirano numerosi turisti, che sono disposti a pagare anche 500 dollari per stare un’ora in compagnia di questi maestosi animali nel loro ambiente naturale, che purtroppo sta diminuendo rapidamente.

Ovviamente i gorilla di montagna non sono l’unica specie a rischio nella regione, ma sono un simbolo, e il Ruanda sta cercando di sfruttare la loro fama per chiedere aiuto al resto del modo in nome della salvaguardia della biodiversità.

Il Giappone pesca le balene? L’Australia lo denuncia

Si abbattono nuove polemiche sul Giappone. Come se non bastassero le recenti dimissioni del primo ministro, ora si sta sfiorando un incidente diplomatico tra il paese del sol levante e l’Australia: il motivo è sempre il solito, cioè la caccia per fini scientifici delle balene.

Come noto il Giappone è uno dei pochi paesi che pratica questo tipo di ricerca scientifica, ed è un dato di fatto che in alcuni ristoranti del paese si serva illegalemente (almeno sulla carta) carne di balena, e, dal momento che la caccia per fini alimentari è vietata ormai dal lontano 1986, i cetacei tanto amati dai palati fini nipponici non possono che venire da pesca “scientifica”.

Proprio per questo il governo australiano ha messo in atto le minacce delle scorse settimane, denunciando alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia il Giappone per la violazione del patto del 1986. Il fatto è stato reso pubblico dall’agenzia giapponese per la pesca e le prime reazioni alla notizia da parte dei diretti interessato sono state diplomatiche ma decise. Il portavoce del governo giapponese Hirofumi Hirano ha dichiarato che la denuncia è estremamente riprovevole, mentre la corte prende tempo dichiarando l’intento di far chiarezza,

Il paese del sol levante pesca ogni anno con le sue baeniere diverse centinaia di balene ed ogni cattura è sempre seguita dall’indignazione di buona parte del mondo e dalle proteste degli attivisti ambientali, che spesso tentano con piccole imbarcazioni di ostacolare la cattura dei cetacei, ma invano. Per la legge il Giappone è in regola, la sua pesca è autorizzata, ma è abbastanza improbabile che i ricercatori del paese necessitino di qualche centinaio di balene all’anno

La ripopolazione del rinoceronte nero

Durante la seconda metà del secolo scorso, soprattutto gli ultimi decenni, il rinoceronte nero del Serengeti (in Africa Orientale) sembrava ormai destinato inequivocabilmente all’estinzione, a causa di un diffuso, incessante e sconfinato fenomeno di bracconaggio. Basti pensare, addirittura, che fino all’ultimo decennio del secolo scorso – a causa della sistematica eliminazione di esemplari nella quasi totalità della regione – allo stato brado permanevano soltanto due femmine. La motivazione di questa incredibile opera di bracconaggio è da ricercare nelle pregiate corna, assai ambite: prevedendo questo fenomeno, nel lontano 1964, un gruppo di ambientalisti tentò di impedire che si compisse l’estinzione, trasferendo sette rinoceronti neri in Sud Africa, in una riserva naturale. Dopo ben quarantasei anni, oggi, è in corso un’operazione di delocalizzazione assai delicata: i discendenti di quei sette rinoceronti, difatti, dovrebbero ritornare nel Serengeti, il loro luogo d’origine. Il Telegraph, in un suo reportage attuale, ha ricostruito la sorte di cinque rinoceronti: questi ultimi, che fino ad ora si trovavano in una riserva protetta, sono stati trasportati su aeromobili nel Serengeti National Reserve in Tanzania. Il percorso di reintegrazione nella loro terra d’origine, secondo quanto previsto, inizierà con un monitoraggio stretto – per la durata di un anno – degli esemplari: questi ultimi, verranno insediati in una parte speciale della riserva. Nel Serengeti, ad oggi, sono presenti soltanto trentatré rinoceronti neri: tra due anni, secondo i piani, la delocalizzazione sarà completata e, di conseguenza, la popolazione raddoppierà. Ciò, comunque, non è garanzia di sopravvivenza certa per questa specie: l’anno passato, infatti, in Kenya sono stati abbattuti ben sei esemplari di rinoceronte nero. Per lottare contro questa piaga del bracconaggio, venti ranger hanno il compito di controllare il territorio della riserva.

La marea nera fa parlare USA e Cuba, intanto le tartarughe muoiono

Un disastro ambientale è riuscito laddove avevano fallito decenni di diplomazia. La marea nera causata dall’incidente alla piattaforma della British Petroleum nel Golfo del Messico sta minacciando le coste degli Stati Uniti così come quelle di Cuba. Fonti anonime del Dipartimento di Stato, portate alla ribalta dai media americani, affermano che ci sarebbero stati colloqui tra i due paesi per trovare una linea comune nel contenimento del petrolio che sta ancora fuoriuscendo dalla falla, resa pubblica il 26 aprile.

Al momento, a settimane dall’incidente, le ricadute sull’ecosistema marino del Golfo sono ancora non quantificabili. Per il momento possono parlare solo i dati: 156 tartarughe morte (dato aggiornato al 30 aprile) e divieto di pesca sul 19% delle acque di competenza federale statunitense, pari a 120mila metri quadri di superficie. I danni alla fauna ittica non sono ancora stati resi noti, ma sono facilmente immaginabili; le spese di pulizia sono ovviamente a carico della compagnia petrolifera e si stimano di molto superiori al miliardo di dollari (al giorno d’oggi ne sono già stati spesi circa 650 milioni).

Oltre alle tartarughe e ai pesci sono in pericolo anche specie caratterizzanti della zona, quali i granchi reali. Gli scienziati e gli animalisti stanno collaborando nel dotare alcune tartarughe di trasmettitori satellitari, che permettono di scoprire tempestivamente lo spiaggiamento degli animali e ai volontari di intervenire in modo mirato per cercare di salvare gli animali da morte certa.

La chiazza  si allarga seminando morte nell’oceano. Serviva un evento così eccezionale per far parlare di nuovo due vecchi nemici.

Il pianeta si scalda, le lucertole si estinguono

Il surriscaldamento globale sta iniziando ad avere i primi effetti sulle forme di vita che popolano il nostro pianeta: dopo i blocchi di ghiaccio estesi come regioni che si sono staccanti dal Polo Sud nell’ultimo biennio, ora anche alcune specie animali sono a rischio non per la deforestazione, non per i pesticidi, ma per l’innalzamento della temperatura.

Secondo uno studio dell’Università della California nei prossimi settant’anni una specie su cinque di lucertola sarà estinta. Il dato a prima vista non sembra allarmante, ma noi uomini spesso sottovalutiamo l’importanza delle piccole forme di vita all’interno di un ecosistema. Le lucertole notoriamente prediligono i climi caldi, ma, come dimostrato da studi compiuti in Messico, la temperatura eccessiva le porterà a trascorrere meno tempo al sole, quindi a rintanarsi maggiormente in luoghi freddi, diminuendo il numero di accoppiamenti e portando alcune specie all’estinzione secondo i calcoli del professor Barry Sinervo.

Il dato è ancora più allarmante se si considera che i rettili sono le specie animali che popolano la Terra da maggior tempo e quindi hanno sopportato notevoli cambiamenti senza risentirne in modo significativo.

Il pericolo di estinzione potrebbe inoltre espandersi ad altre specie, dal momento che la perdita delle lucertole può causare un collasso della catena alimentare a livelli superiori>>, con danni incalcolabili ai molti ecosistemi di cui fanno parte. Gli studiosi hanno anche prospettato una soluzione scongiurare questa catastrofe ecologica: una diminuzione del 6% delle emissioni di gas serra salverebbe questi piccoli rettili.

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